Ma la salute mentale che cos'è?

Può essere che la salute mentale sia il contrario della follia. Per quel che mi riguarda io mi immagino che essere folli altro non significhi che prendersi molto o troppo o del tutto sul serio. Se sta all'opposto, salute mentale non potrà che identificarsi con l'esercizio della vacuità, dell'insignificante: in sintesi la realizzazione completa dell'essere in malafede e del subire l’ottusa piattezza dell'inerzia.

Per fortuna tra questi due estremi c'è una ragionevole dose di angoscia che quasi tutti si portano dietro e una ragionevole dose di stolidità e di menzogna che non consente alla prima di travolgere il nostro equilibrio instabile. Equilibrio chissà quanto auspicabile, chissà quanto mediato, reso tale da un contratto sociale che, misurato in merci e prodotti, costituisce la nostra commerciale formazione che tutto sopravanza e che di inclusione/esclusione decide. [...]
Ci si potrebbe immaginare che salute mentale stia laddove un soggetto può esistere con altri, attraverso il linguaggio comunicare di sé, potere parlare di sé per differenze accettabili, costituirsi per singolarità parziale e parziale comunanza. Costituirsi ed essere costituito laddove inclusione/esclusione si tendono e rischiano tra loro, sul limite sul quale altri possano trattenerti, tu possa trattenerti e insieme possa trovarsi un comune sentire, una prassi comune, un progetto interrelato.

Se è verosimile che solo il linguaggio ci può salvare, se è verosimile che nella follia ci sia non so se una scelta ma una sicura compiacenza, un vezzeggiamento continuo, una seduzione subita, un arrovello accarezzato, un'identità estrema purchessia, l'altro diventa ancora più decisivo del tuo futuro. Se solo l'altro può salvarti da te, può trattenerti al di qua, può forse anche spingerti di là o lasciarti, abbandonato e naufragato, irrelato, solo di questo è utile parlare.

Molto altro non so. So poi allora che, quando il limite è oltrepassato, il sociale contratto prevede che qualcuno si debba per professione e servizio, per statuale compito, in qualche modo occuparsi di te.

 E abbiamo pur visto che cosa li può accadere e vediamo ogni giorno che cosa accade o rischia di accadere. Come lì possa essere cementata l’esclusione, la tua non salute giudicata e oggettivata la malattia (occorrendo però anche essere consapevoli che è forse meglio essere "malati" che indemoniati o simili, con ragionevole dubbio pensando che sia meglio di te si occupi il soi-disant medico piuttosto che un soi-disant esorcista e che forse è meglio un ospedale piuttosto che l’esilio al limite del villaggio). Si tratterà di capire meglio se da lì sia possibile che si riannodino i fili dell'inclusione o se invece da lì si aggravi sempre e solo il fardello di un’esclusione spesso irreversibile ed irrevocabile attraverso professioni e servizi dedicati.

Se è chiaro che salute e malattia sono spesso compresenti nel corpo e nell'anima, se più difficile è dire qui dove l'una (la salute) comincia e l'altra (la malattia) viene colta, è difficile sfuggire alla sensazione che le parole non indichino nulla di quel che davvero accade qui. L'inadeguatezza delle parole attiene alla loro natura razionalizzatrice, che par proprio inadeguata alle peculiarità dell'irrazionale. Usare il linguaggio per entrare dentro la follia è come usare un metro per misurare un liquido. Ma è allora adeguato il linguaggio per parlare di che cosa sia la salute della mente, di quali ingredienti si nutra una mente in salute? E salute agli occhi di chi, poi? Degli altri che mi osservano e mi giudicano o di me che mi rivolto nel sonno o nella veglia per far fronte alle minacce guerriere che mi sono ogni giorno rivolte e tento così di conservarmi in salute? [...]

Franco Rotelli (1942- 2023) in Communitas, edizioni VITA